Giornata lunga, bisognava terminarla con un filo di sbrago, ovvio.
Ho passato 9 ore chiuso dentro un sigaro volante che mi ha fatto tagliare il Golfo Persico, attraversare l’Arabia Saudita per entrare in Egitto dalla penisola del Sinai, uscire nel Golfo della Sirte e passare sopra Malta per rientrare in Nord Africa sulla verticale di Tunisi, entrare in Algeria per poi passare nuovamente su un pezzo di Mediterraneo costeggiando il sud della Spagna, tagliando poi secco a risalire il Portogallo: come dice Benedetto, la distanza più breve tra due punti non è più la retta, ma l’arabesco.
Lisbona, la terra di Vasco De Gama, della Rivoluzione dei Garofani, del bacalao declinato in tutte le sue desinenze e del Porto. L’ostello dove sono è praticamente sul tetto del Tram 28, il carrello d’acciaio bianco e giallo che pascola pochi locali e frotte di turisti, inerpicandosi dentro il Barrio fino a far stridere i binari come se fosse un pazzo motociclista in derapata.
Arrivato bollito come una sogliola dimenticata dentro la motrice di un treno a vapore, mi sono trascinato in una camminata che voleva ignorare fosse per il mio corpo ben oltre mezzanotte, ma qui invece le 9: la tradizione della Penisola Iberica fa si che i bambini qui vadano a letto dopo Carosellos De La Tarde alle 23, e gli adulti fanno l’aperitivo all’una di mattino per una cena leggera che comincia alle 3.
Sono entrato, coerente e ortodosso come Togliatti, in un locale che conosco, dove si assaggia la cucina agliata locale e si ascolta il Fado, la triste musica portoghese che quando la compri in vinile o CD trovi allegata la lametta per svenarti. Recuperando la mia ormai scarsa padronanza dello spagnolo e condendolo con un’intonazione da bossa nova ho chiesto se tutti gli ospiti si fossero già suicidati, visto che non c’era un cazzo di nessuno. Il cameriere con un’aria da funerale mi ha fatto le spallucce e sono uscito, girando subito dopo in una calle dalla quale invece usciva vita animata.
“Las Ficheras, comida mexicana” recitava il cartello e, attratto dal fatto che il locale fosse strapieno sono entrato, sedendomi accanto a una coppia di inglesi metalli stagionati ( probabilmente oggi lui analista finanziario e lei – con qualche tatuaggio stinto a ricordo di un passato più ribelle – operatrice di borsa nella City).
Mangiato fajtas, quasi pessime, bevuto una birra “Desperado” che fa onore al suo nome, assaggiato un guacamole che dovrò ingollare citrosodina tutta la notte per digerirlo, ma ho scattato qualche immagine …
Sai che ti stai tirando anatemi da invidia pendolante?! Le foto restituiscono un’atmosfera. Mi piacciono
Le foto devono raccontare momenti, portandoti in quell’istante ma lasciandoti immaginare un prima e un dopo …
Bellissimo è difficilissimo.