Stavo attraversando Soho, dopo aver zigzagato per Hell’s Kitchen senza ritrovare quello che mi ricordavo fosse l’ambiente operaio che connotava l’area storica dell’immigrazione Irlandese. Il polso mi informava che erano passati oltre 13 chilometri dalle due fette di pane abbrustolito, con sopra un avocado e un paio di uova in camicia, che avevano marcato la partenza della mia camminata.
L’appetito è una brutta cosa, soprattutto quando scendi per la Mulberry, tra la Prince e la Sping Street, e vedi sulla destra la vetrina di un posto che ti fa subito fiducia e simpatia: tutti quelli seduti nei piccoli tavoli sorridevano e chiacchieravano: non ce n’era uno con il telefono in mano.
Ruby’s Cafe.
Sono entrato, dopo pochi minuti di attesa. Tutto il ristorante sarà 40 metri quadri scarsi, ma riesce a far sedere comodamente la gente, senza dover pranzare col gomito di quello del tavolo vicino sotto il collo, e se lo dico io che sono grosso potete credermi.
Un menù vario, con delle marcature italo-australiane salutiste, una cucina dove i due cuochi lavorano ad un ritmo incessante senza concedersi una distrazione, e con una precisione millimetrica nei 2 metri quadri scarsi che hanno a disposizione. Ho scelto il Bronte burger, inizialmente con l’insalata ma poi ho piegato sulle fries.
Se fossi un credente al primo boccone avrei visto Dio.
Gustoso, ben bilanciato, poco condito con grassi che normalmente in America abbondano. Materia prima di qualità, preparata e cotta con responsabile professionalità. Le patatine croccanti senza essere unte. La maionese al tartufo delicata. La lager fresca e gustosa. Mi è venuta la tentazione di campeggiare fino alla cena.
Very well done, guys!
Foto? Ovvio ….
soho
?
menù con delle marcature italo-australiane salutiste??! Belle foto
Lasciami qualche licenza letterario-culinaria…
Assolutamente sì. Ne hai facoltà 😉