“Hi boss, same same?“, mi chiede da dietro il bancone il tipo che armeggia poi per prepararmi un incivile espresso, ma che mi permette di sedermi e usare un decente wifi per alcune ore, in un contesto piu’ sociale del tavolo di casa.
Soprattutto so perfettamente la schifezza che mi preparera’, e non rischio sia peggio, peggissimo o peggerrimo di quell’esperienza.
“Same same“, rafforzativo di “same” [traduzione italiana “lo stesso“], viene usato soprattutto dalle popolazioni asiatiche, e penso che l’origine si perda negli anni ’60, durante la Guerra del Vietnam.
Se voglio che il sarto indiano mi faccia una camicia o un paio di braghe identiche a quelle che mi vanno benissimo, senza lanciarmi in una misurazione antropomorfa e antropometrica approssimativa, dai risultati poi quasi sempre inindossabili, la parloa magica e’ “same same”, perche’ “same” da solo significa “pressapoco cosi’, ma dai libero sfogo alla tua fantasia creativa”.
“Same same” ti garantisce una stabilita’ nell’universo complesso dei Castelli di Sabbia, estendendo in modo ricorsivo le cose o i servizi che meglio ti si adattano, dopo, ovvio, una fase di sperimentazione normalmente disastrosa.
La miniera mi ha giustamente sepolto dopo 10 giorni di ferie a spasso per l’Indochina, ma tra qualche giorno riappaio in prossimita’ della Democratic Republic of Spritz.
Come quasi tutti sanno, il mio fastidio per il Natale, e per tutte le sue tradizioni, e’ leggendario: quindi niente auguri, ma se il 22 sera c’e’ qualcuno da quelle parti, ci si beve un buon Sangiovese, brindando “non al denaro, non all’amore, ne’ al cielo”.
Foto? Same same coffee ….
Al 22, allora!
🙂😘