Ieri sera sono incredibilmente riuscito a vedere quasi tutto un film in televisione, senza collassare addormentato: penso sia la prima volta che mi succede negli ultimi 10 anni. La trama e la recitazione erano, di per se, accettabili, ma sono rimasto colpito dalla fotografia che ambientava la storia in una London della fine anni ’60 o primi ’70.
L’ispirazione non è scattata per il fatto che stasera ceno a London, dalle parti di Liverpool Street, ma perché, tra i personaggi cattivi-cattivi (anteposti ai cattivi-buoni, che vengono alla fine salvati dai buoni-tonti che vincono anche contro i falsi-buoni-corrotti, con l’aiuto dei buoni-segreti: vi avevo detto che la trama non era poi da menzione nel Sundance Film Festival), tra i cattivi-cattivi dicevo ce n’è uno che viene collocato a Trinidad, l’isola nel sud dei Caraibi dove sono andato a far danni mi sembra l’anno scorso.
Con un brivido e con un’esclamazione fine (“oh cazzo!”) mi son ricordato che avevo spergiurato più volte di tornarci nel corso di quest’anno per una verifica della stabilità della soluzione aziendale che avevamo impiantato localmente, ma che mi son ben guardato dal rifarmi la secchiata d’ore di aereo che serve per piovere da quelle parti.
Temo comunque che a breve devo metterci una pezza e programmare almeno due giorni di riunioni laggiù, e poi d’infilata raggiungere Buenos Aires per un blocco serio di programma lavorativo.
Trinidad, isola nel sud dei Caraibi (praticamente in terra Venezuelana, dalla quale dista solo 11 chilometri), soprannominata Land of Hummingbird (La Terra del Colibrì), rimase colonia spagnola fino al 1797, anche se largamente sviluppata dai coloni francesi della Martinica. Nel 1889, unita a Tobago, divenne colonia britannica per poi ottenere l’autogoverno nel 1958 e l’indipendenza dal British Empire nel 1962.
Quando stavo per preparare il viaggio di lavoro mi sognavo riunioni su fantastiche spiagge bianche, con mare azzurro, palme e avvocate in gonnellini di foglie che mi portavano corolle di fiori e birre ghiacciate insieme alla documentazione su corporate law, employment e immigration, tax regime. L’arrivo mi ha fatto subito capire che sarebbe stato un filino diverso.
L’economia dell’isola è basata sull’estrazione di gas e di petrolio, su una micro attività industriale e sul porto commerciale (dove, per inciso, è collocato l’albergo dove sono andato a dormire). Port of Spain, capitale, è caratterizzata da un mix tra degrado urbano e aree commerciali/governative, con i quartieri più “signorili” arretrati sulle pendici delle colline. Buon tasso di criminalità, legato soprattutto al traffico di droga: non suggerirei certo una lunga vacanza da quelle parti.
Ovvio inserire alcune delle foto che ho scattato ….
Ma com’è che l’uomo riesce a costruire orrori anche in paradiso?