Sono parcheggiato nella lounge dell’aeroporto di Dubai e l’unico posto libero è a fianco di un megamonitor sintonizzato su CNN: le notizie che rimbalzano, forzando il blocco del Royal Wedding di venerdí prossimo, sono lanciate dalla sede di Abu Dhabi e si focalizzano sui casini della Syria.

La Syria è stata “governata” dalla famiglia Assad per gli ultimi 40 anni: il padre prima, noto per le sue repressioni che hanno azzerato intere cittá, il figlio poi, che si è fatto anche lui il dubbio onore di far sparire un gran numero di persone e aver calpestato i diritti umani in più modi contemporaneamente. Diciamo che hanno “garantito stabilità”, per usare una realpolitik machiavellica, al prezzo di un bel po’ di sangue e prigioni piene. Il paese è un gran casino di diverse etnie e mi aspetto di vedere dei bei problemi a breve da quelle parti. Il Partito Baath è stato classificato come unica espressione possibile della realtà politica da quasi mezzo secolo.

Ho casualmente incontrato Bashar Al-Assad, attuale traballante “presidente” siriano, nell’inverno del 2008 a Mosca: ho passato 18 mesi da quelle parti a surgelarmi i capitelli (sarebbero “cabasisi” per onorare il maestro Camilleri) a fare il mestiere dell’HR, e ho partecipato per una paio di volte alle tradizionali cene e feste di fine d’anno che riunivano tutti i colleghi per una allegra bicchierata e quattro salti.

La definizione di “allegra bicchierata” in russo è qualcosa che non si può comprendere se non la si è vissuta localmente e soprattutto quando le rigide temperature invernali passano i -30c: la metodologia con la quale la vodka viene assorbita come fosse acqua minerale fa sospettare che (oltre al problema sociale) una gran parte della popolazione in questi casi abbia vaghe traccie di sangue nell’alchool che scorre liberamente nelle loro vene, e donino il fegato, ben conservato sotto spirito, per ricerche sui combustibili biologici.

La serata si teneva dalle parti di Park Kultura (Gorky Park, se ricordo bene la toponomastica locale: vedetevi il film omonimo che è una gran bella pellicola avvincente) e sbucando fuori dalla fermata della Metro di Leninskjy Prospect mi ero giá interrogato sul significato della vita mentre mi si congelavano le falangi.

Entrando nell’albergo che ci ospitava per la festa, avevo notato un enorme ritratto che pendeva dalla parete della hall (fate una roba di 2 metri e mezzo per 5: difficile non farci caso) e mi sembrava di conoscere il tipo. Volevo evitare gaffes tra i nostalgici e mi son trattenuto nei commenti: pensate che ogni tanto sulla piazza rossa si riesce a vedere un corteo di irriducibili vetero-stalinisti ultrenovantenni che sfidano le intemperie per una dimostrazione di anacronistico affetto e stima nei confronti del baffone dei gulag. Mi son limitato a dire, in italiano, “vah che faccia da pirla che l’ha quel lí”: accuratamente doppiato poi in inglese e russo a beneficio di una audience più vasta.

Quando, intorno a mezzanotte, sono uscito spingendo una sparuta mandria di reduci della serata (loro con il progetto di continuarla, io con la speranza di agguantare un taxi nella tormenta di neve e di raggiungere il Balshug dove alloggiavo), sono rimbalzato contro un muro di guardie del corpo con l’aria rassicurante come quella di una iena che vi sta addentando il femore.

Il dialogo del gruppetto era in arabo: al centro c’era Assad. Avevo finalmente capito chi fosse il tipo del ritratto con la faccia da pirla triste.

Nota di costume: nel post “shopping compulsivo” di qualche giorno fa’ vi avevo parlato dell’acquisto della corda per saltare stile pugile … Vi avviso che le due manopole e la corda arrotolata sembrano fantasticamente simili a due candelotti di esplosivo collegati con perizia cinematografica da un classico cavo elicoidale. Sono la gioia di qualsiasi addetto alla sicurezza aeroportuale che vedrà in voi un martire votuato a polverizzarsi insieme ai passeggeri del volo: 30 minuti di attenta perquisizione del bagaglio terminati con il sottoscritto che faceva jojjing al check-in per dimostrare l’uso innoquo dell’attrezzo. Bad move, big mistake.

La foto sotto l’ho scattata nella Dubai Mall.

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It's been almost 50 years that I travel across the word (and the 7 seas), on business or vacation, but always carrying with me a Leica camera. I started keeping this kind of journal a while ago. Even if sometime I disappear for ages, I'm then coming back with semi-regular updates: publishing is a kind of mirroring of my state and emotions, and you need to take it as it is. All published photos are mine.

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