Yan (nome di fantasia, che qui mi sembra corretto proteggere l’anonimato), è incazzato furibondo per il risultato delle elezioni politiche in Malaysia: il partito col simbolo della bilancia bianca su fondo blu, al potere ininterrottamente dall’indipendenza 50 anni orsono, ha ottenuto nuovamente la maggioranza dei seggi a discapito della larga coalizione che coltivava ben motivate speranze di vittoria.
Le accuse di irregolaritá e brogli trovano ampia traccia sulla stampa (BBC, CNN) e vengono chiaramente denunciate da Human Rights: intimidazioni, seggi bruciati, traffico di persone non aventi diritto al voto, e, non ultimo, il fatto che l’inchiostro col quale viene bagnato il dito di chi ha espresso il voto e che dovrebbe essere indelebile per alcuni giorni, viene lavato semplicemente con acqua e sapone.
Yan vuole dimostrarmelo a tutti i costi e mi trascina in bagno dove, in effetti, con un po’ di sfregamento la maggior parte delle traccie dell’inchiostro spariscono.
Non voglio fare qui il paladino dell’innocenza politica (basti vedere i nostri risultati elettorali per rimanere allibiti, ma questo è un altro discorso), ma è interessante seguire per un attimo la tematica di come gestire un’espressione di voto o altro, nei molti paesi dove l’anagrafe è una cosa di approssimazione stimate più che un puntuale registro.
La prima volta che mi son reso conto di problemi di questo genere stavo sorvolando in elicottero un’area della Nigeria dove sorge una delle piú vaste baraccopoli africane (“squat camps“, o “bidonville” a seconda delle lingue e degli slang). Il tenente di polizia mi ha detto che sotto di noi vivevano 8 milioni di persone. “Ma come potete contarle?”, “Facciamo delle fotografie aeree, stimiamo una presenza media per kilometro quadrato e poi moltiplichiamo per l’estensione di tutta l’area“.
Foto di oggi? Seduto al 12D nel 737-800 nuovo di pacca che mi trascina a Kuala Lumpur, o meglio, nel sobborgo di Mid Walley e poi da qualche parte ancora …