Da quando mi rado la testa ho scoperto che la funzione di coibentazione offerta dai capelli viene a mancare, e passo buona parte del periodo invernale con un cappello in testa. “Cappello”, forse meglio definirlo un berretto di lana, al quale mi affeziono quasi sia la mia coperta di Linus e le cerimonie del rimpiazzo emulano quelle destinate alla Polo Blu (leggi questo post sull’argomento).

Nelle ultime due settimane ho poi elaborato una nuova tesi sul fatto che il berretto sia dotato di vita propria, di capacità di autocoscienza e giudizio, e soprattutto di capacità di nascondersi, smarrirsi e ritrovarsi manco fosse un turista nella metropolitana di Seoul.

Lo storico cuffiotto nero è misteriosamente scomparso una decina di giorni fa: mi ha accompagnato (attraverso regolari lavaggi) per oltre gli ultimi due anni e si era istituita una regolare simbiosi, quindi la perdita mi aveva listato a lutto. Son passato (come back-up) allo stesso modello e stesso brand (Patagonia), ma di color arancione acceso, che avevo scelto come copricapo di sicurezza nell’inverno Mongolo per facilitare il mio ritrovamento nella steppa ghiacciata nel caso mi fossi perso e le bestemmie non fossero riuscite a segnalare la mia posizione geo-stazionaria.

Il 31 sera ho lasciato sulla sedia il cappello arancione: sono certo di averlo fatto, e posso citare Beria a testimone. La mattina dopo non c’era più e ho cominciato a indagarmi sull’esistenza di Troll genovesi, che si esprimono attraverso sequele di “belin & belandi” come il marconista del Titanic e per scherzare con gli umani sottraggono e spostano gli oggetti. Alla fine la tesi invece della berretta come essere intelligente ha prevalso, quando ho infilato le mani in tasca della giacca per andare a comprare un altro copricapo e ho ritrovato miracolosamente il cuffiotto nero.

Il rito di celebrazione del cappello ritrovato ha oscurato anche quello dell’ammaina polo (leggi qui), compresi concupiscenti baci sul tessuto. Molti sostengono io abbia veramente bisogno di andare il ferie e di staccare, forse questo racconto lo conferma.

Foto? Mi piace chi suona per strada, mi sembra ci sia una dignità nell’offrire la propria musica per due spiccioli. Fisarmoniche, chitarre, sassofoni, fino al più classico degli “one-man band”: poi, trovare un tipo che allieta i passanti nella galleria dell’ascensore del Portello, con un berretto esattamente come il mio …..

fisarmonica

It's been almost 50 years that I travel across the word (and the 7 seas), on business or vacation, but always carrying with me a Leica camera. I started keeping this kind of journal a while ago. Even if sometime I disappear for ages, I'm then coming back with semi-regular updates: publishing is a kind of mirroring of my state and emotions, and you need to take it as it is. All published photos are mine.

10 Comment on “Il cappello matto

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