“Che fai Mau, te ne vai già?” mi ha chiesto una collega dopo avermi visto ammainare il capo in segno di resa al termine della ottava conference-call consecutiva: le ho risposto “Yeah, I’m gonna take a walk on the wild side”, aggiungendo poi “and the Coloured girls go ‘doo doo doo odo’ …”, alimentando la leggenda che io mi faccia in modo pesante riuscendo a sniffare il silicio dei micro chip dal laptop, fingendo periodici collassi sulla tastiera.
Ovvio che l’audience aziendale è molto meno avvezzo che Beria alle mie citazioni, figuriamoci poi quelle musicali: mentre mi alzavo le ho sentito dire al telefono, in modo molto compito “No, I don’t really think Mau will take this next call, as I see him getting out of the office right now, probably to commit suicide“.
Non ha riconosciuto il brano di Lou Reed del 1972 “Walk on the wild side” prodotto da David Bowie, e inserito nel suo secondo album Transformer. La canzone, malgrado parli di transessualità, di droga, di prostituzione maschile e di sesso orale, fu largamente diffusa dalle radio Americane, contribuendo all’ascesa del mito. Il testo fa riferimento a una serie di personaggi che si aggiravano alla corte di Andy Warhol (The Studio), e racconta in modo direi abbastanza puntuale l’atmosfera che se ne respirava.
Foto? L’altro giorno ho dovuto farmi risuolare le scarpe, appunto per camminare sul lato selvaggio …
Per chi vuole riascoltarsela …
Oltre all’aria pressurizzata addizionata dicosanonsisa, anche le conference call hanno effetti interessanti sugli esseri umani…
Puó essere … ma anche la stanchezza fa del suo!