Back to The City of Lions.
Ormai gli addetti dell’immigration mi accolgono con una serie di olà “Mau is back”, arrivando a timbrare in piena acrobazia il più recondito centimetro quadrato libero nelle pagine del mio passaporto, e alla dogana sventolano quei segnalatori colorati che si usano sulle portaerei per guidare gli atterraggi in notturna, indicandomi la “fast-track” per l’uscita.
Inciampo solo nella classica coda per accalappiare un taxi, ma si sa, la perfezione è del regno dei cieli, e Singapore ci si avvicina solo al 99.4%: aspetto ben 2 minuti prima che il Caronte di turno mi carichi sulla sua barca per scuffiarmi, al solito, in Scotts Rd. all’incrocio con Orchard.
Vado su all’ultimo piano, a concedermi un bicchiere di Chianti (si, lo so che non è tradizione locale, ma poi tutta la settimana business è “dry”, quindi mi concedo un ultimo peccato veniale) e ingarello una conversazione con la coppia vicina di tavolo: lui un ex-Airforce, che ha passato ad Aviano qualche anno della sua esperienza professionale prima di andare in Germania e quindi in Medio Oriente e Afghanistan , lei un’insegnante di Oklahoma City, adesso vivono nello Utah.
La leggenda che mi vede capace di chiacchierare anche con i celenterati ha ancora una volta la conferma: vengo, al solito, scambiato per un australiano dallo strano accento, ma al rivelarmi italiano i ricordi di Prosecco dell’ex top-gun riaffiorano cuvè meglio di uno champenoies, e dissertiamo di polenta, formaggio Asiago e di tose.
Nessuna foto ancora scattata per oggi, ma quella che ho fatto a Febbraio nello Starbucks di City Hall mi piace troppo …
Il Chianti mi attacca in gola, non mi sconfinfera…
Ordino green tea per te, no worries 🙂