La luce si alterna al buio: le interruzioni di energia elettrica sono così frequenti che ho imparato velocemente a considerare una normalità conversare nella penombra, mentre fuori dalle finestre le nuvole segnano la fine della stagione delle piogge e filtrano l’ultimo sole del giorno su questo pezzo di Africa.

“Bisogna imparare a vedere il vero delle cose, Mr. Mau” mi dice con una voce bassa e calda, dove l’accento locale talvolta tradisce gli studi in una prestigiosa università inglese, “E questo lo puoi solo fare se sei qui, in Xxxxx, e se sostituisci alla percezione della finzione scenica, la realtà di una cultura e di un’economia in cui il passaggio dal bianco al nero non è sempre il grigio”.

I suoi lineamenti sono decisi, seduto sulla poltrona davanti alla mia; siamo separati da un grande e basso tavolo di legno. Seduto c’è chi fa da garante al nostro incontro e gli ha spiegato che voglio comprendere, ragionare, capire e non passare superficialmente un panno sulla polvere.

“Prendi la faccenda del pesce importato: $700milioni di dollari americani ogni anno, ai dati ufficiali, malgrado ci affacciamo sul mare. Sì, abbiamo milioni di persone da sfamare, ma quando si è scoperto – ovvio – che c’era dietro una truffa di quantitativi gonfiati, la reazione del Governo è stata quella di bloccare integralmente il mercato per impedire l’esportazione illegale di capitali [Xxxxx è uno dei paesi africani dove FX impatta in modo devastante i rapporti economici e la capacità di transazioni con l’estero]; ci si aspettava una crisi nell’approvigionamento e nel consumo”.

Fa lunghe pause dove bisogna leggere i suoi silenzi e respiri: l’aria comincia a soffrire senza l’aiuto del condizionatore e la camicia mi si sta incollando sulla schiena sotto la giacca, mentre la cravatta comincia a diventare una corda che sega il collo.

“Non è così. Il pesce c’è sempre stato e c’è ancora: non era una quantitativo gonfiato, era l’intero valore che faceva girare prodotti inesistenti grazie alla connivenza di numerosi funzionari”.

Torna la luce e i suoi occhi incontrano i miei per molti secondi: chi si siede tra noi, interviene per raccontare la storia dei nostri rapporti professionali.

Gli domando quale parte della nostra miniera possa esser utile alla sua.

Lo faccio in modo diretto, chiaro e aperto: so perfettamente che la sua azienda ha scelto con etica precisione di non cedere ad alcun compromesso e che le ferree regole di trasparenze nelle quali credo, e che confermo nella mia vita professionale, sono rispettate.

“Conosci la storia della benzina?” Mi chiede “Sì, molto bene” gli rispondo. Mi sorride e mi parla, nel buio che ci ha lasciato nuovamente ciechi, dei suoi progetti, dei suoi sogni, del suo desiderio di cambiare questa fetta di mondo …

[somewhere in West Africa, meeting someone]

It's been almost 50 years that I travel across the word (and the 7 seas), on business or vacation, but always carrying with me a Leica camera. I started keeping this kind of journal a while ago. Even if sometime I disappear for ages, I'm then coming back with semi-regular updates: publishing is a kind of mirroring of my state and emotions, and you need to take it as it is. All published photos are mine.

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