Mi son trovato a sciabattare tra Cheung Sta Wan e Sham Sui Po, che una volta indicava “il molo dalle acque profonde“, poi coperto con milioni di tonnellate di terra ad offrire nuovo spazio alla fame di case che ha sempre strangolato questo posto.
Qui siamo nella Hong Kong dove una famiglia vive la sua vita in 5 metri quadrati: formicaio illegale ma tollerato dalle autorita che consapevolmente preferiscono questo al buttare letteralmente sulla strada (affollatissima) un milione e mezzo di persone che vengono censite in questo denso quadrilatero.
I fasti e lustrini che, a mezz’ora di cammino verso sud, fanno vedere code interminabili davanti ai negozi di Gucci, Prada, Hermes e di qualsiasi altro global-luxury-brand dia una conferma del proprio status, sono lontani non anni luce, ma sicuramente diverse decine migliaia di anni-governo-stabile italiano (nuova unita’ di misura, viste le elezioni di oggi che temo si concluderanno con la mia richiesta di cittadinanza nella Democratic Republic of Congo).
Qui si risparmia, si spende a fatica il singolo dollaro.
Scartati gli stalli del mercato sulla Uh Chao Street, che espongono paccottaglia infotografabile, sono entrato nel mercato del pesce e dei pollami.
Qui il concetto di “fresco” viene tradotto con “vivo“.
Pesci e polli vengono esposti in una condizione di “cattività“, ma in piena salute.
“Piena salute” fino a quando il consumatore non punta il dito, con un gesto simile a quello dell’imperatore nel Colosseo quando condannava il gladiatore. Il “futuro cibo“, che non sa ancora di esserlo, lo scopre nei pochi secondi che seguono.
Foto? Ancora un mercato in Asia ….