Domenica scorsa è stata all’insegna della reintegrazione nel tessuto sociale e strutturale dell’area nella quale vivo: detto in soldoni, non ho toccato l’auto e mi son mosso solo a piedi. Uscito alle 7 con Beria, tornato alle 8:30. Uscito alle 9 per una breve camminata con una coppia di amici, tornato alle 11.
Uscito a ri-pascolare Beria subito dopo pranzo: il cane si è messo sulle zampe scarpette da maratona, capendo che la giornata si sarebbe messa male, e mi ha guardato con un’espressione “ma perchè non mi è toccato un bel padrone divano-tv-birra-rutto che anche io me la passavo bene?“. Infine ho allungato fino al parco pubblico dove si stava svolgendo una bella dimostrazione di attività e sport, organizzata dal Comune con un notevole bordello di gente.
Ci siamo fatti subito riconoscere perchè Beria voleva piantare una monumentale cagata proprio nel prato dove si stava svolgendo la dimostrazione di Tai-chi-chuan e solo un mio sibillino “NON CI PROVARE NEMMENO” ci ha salvati da una situazione decisamente imbarazzante. Ci siamo aggirati tra le varie arie espositive e dimostrative per un’oretta e poi abbiamo girato le 6 zampe a fattor-comune verso casa. All’uscita dal parco una mamma stava rimproverando il figlio che aveva fatto la prova di rugby, dicendogli “Sei sporco come uno scarabeo stercorario“.
Adesso, capisco che ci sia la necessità di fornire ai nostri figli un’educazione più completa ed articolata possibile, ma, cazzo, ogni tanto muoversi nell’ambito del normale ed intellegibile sarebbe buon senso. La cosa positiva è che la signora (sicuramente plurilaureata) mi ha fatto ricordare le prime volte che vidi proprio gli scarabei che avevano la mania di portarsi dietro palline di merda, in South Africa.
Ho girato un po’ di volte il Rainbow Country e ne sono sempre rimasto affascinato, sia dalla bellezza naturale, sia dalla storia recente: il salto verso la democrazia che il paese è riuscito a fare, partendo dall’oscurantismo più totale dell’apartheid, è un insegnamento spettacolare. Valga solo il fatto che ad oggi vi sono riconosciute 11 lingue ufficiali (penso sia un record galattico), a testimoniare un ugual diritto di tutte le etnie che rappresentano questo fantastico paese dove ho amici che mi hanno insegnato molto.
Dal pranzare a Mandela Square (Johannesburg) ai games nel Kruger o in Madikwe, al confine col Botzwana, alla fantastica Cape Town e la sua bella costa verso Port Elisabeth, il South Africa è un posto dove vale la pena passare del tempo e forse anche viverci.
L’ultimo giro l’ho fatto nell’Aprile del 2008: complice una serie di meeting a Jo’burg, Pretoria e Cape Town, mi son concesso una settimana di ferie e son andato a mangiar ostriche a Knysna che detiene l’invidiabile primato dell’essere una baia nella quale i Lloyds di London non assicurano le imbarcazioni a causa della pericolosità dell’accesso. SI, per la serie “se non son cazzi amari io non mi diverto“.
Partendo dal Capo (che avevo già visitato in precedenza), mi sono spinto prima verso l’interno e poi ho zig-zagato sulla costa tra parchi naturali, foreste pluviali e comunque panorami da urlo. Sono poi tornato a George per prendere un aereo da 6 posti, coincidenza per Johannesburg, Zurigo e Milano. Dall’aeroporto di George partiva solo un’altro volo oltre al mio, diretto a Cape Town e la leggendaria legge di Murphy ha voluto che la mia valigia se ne andasse per la savana in direzione opposta rispetto a quella del mio culo.
Diciamocelo, succede, anche se qui, cazzo, è dolo … 2 soli voli in un pomeriggio, ciascuno dei quali dalla capienza massima di 6 passeggeri, ci vuole un genio per cannare l’imbarco, ma passiamo oltre. Ovviamente a Jo’burg faccio denuncia di smarrimento e rientro sereno in Italia: perdo il bagaglio 3 o 4 volte l’anno e mi viene sempre recapitato con al massimo un paio di giorni di ritardo (tranne quando a fine Gennaio l’ho perso a Tripoli, ma questo sarà un post dedicato, stay tuned).
Nei giorni successivi sono al telefono con la Southafrican Airlines, la Swiss, impreco contro l’ufficio bagagli di Malpensa che non ha un numero di telefono ma un’assistente di volo di Tampa Bay (Florida, non mi chiedete come ho fatto) me ne comunica uno riservatissimo … insomma la roba stavolta diventa un po’ stressante ma alla fine la buona novella: il mio bagaglio è a Malpensa ma non possono consegnarmelo a casa per una serie di valide minchiate. Preso da scopi umanitari ciapo sù l’auto e sereno come un maratoneta che ha sbagliato percorso e se ne accorge dopo 41 km, vado a MXP.
Conosco la procedura: porto il bording pass (da George a Johannesburg), la denuncia di smarrimento, il passaporto, la copia del biglietto elettronico: e chi mi ferma, sono meglio dell’archivio di stato. Arrivo a Malpensa e mi presento all’addetto alla sicurezza (militare, vestito in nero con bande rosse sui pantaloni): gli spiego “mi è arrivato il bagaglio smarrito, questa è la carta di imbarco, il mio passaporto, ecc, ecc.“.
Il militare guarda attentamente il boarding pass (“George – Johannesburg”), il mio passaporto (Maurizio Vagnozzi”) e con aria sagace mi apostrofa: “Eh no, lei non si chiama George“. Spalancando gli occhi per l’incredulità gli rispondo “No, se voleva un autografo da Clooney non sono io, ovvio. Le faccio notare che qui George indica una città, come Roma o Milano per intenderci e, di conseguenza anche Johannesburg lo è. Se osserva po sotto noterà Vagnozzi/M. MR, che sarei io. Mi segue, vero?“. La sua risposta è disarmante “Va beh, per questa volta vada“. Io “Ma cosa cazzo vuol dire ‘per questa volta’? Ma si rende conto”. Abbandono la disputa al suo secco “Non faccia lo spiritoso“.
Quel giro in è stato bellissimo e qui potete vedere un po’ delle immagini che ho scattato: http://www.vagnozzi.net/Pictures/P_GardenRoute/index.html. Per i più pigri, sotto ve ne allego una.
It's been almost 50 years that I travel across the word (and the 7 seas), on business or vacation, but always carrying with me a Leica camera. I started keeping this kind of journal a while ago. Even if sometime I disappear for ages, I'm then coming back with semi-regular updates: publishing is a kind of mirroring of my state and emotions, and you need to take it as it is. All published photos are mine.