“Sir, do you want to take the opportunity of our very special final sale, and get an additional 10% discount?“. No, non ho bisogno di nulla e questa frenesia di acquisto compulsivo che anima questa città, foresta di cemento e di shopping mall, mi è completamente indifferente. “Oohhhhhhh” mi risponde la commessa, come se avessi violato uno dei principi fondamentali della religione locale.
Capisco un alto reddito (bah, forse poi non così diffuso), capisco una percentuale di tassazione che (da italiano) definisco irrisoria e ridicola, capisco anche il fatto che le nuove megalopoli cercano di offrire paradisi artificiali ai propri abitanti e Singapore, come Dubai e altri posti, facciano diventare le shopping mall aree di aggregazione sociale, anche se ci sarebbe veramente da discutere se costruire aggregazione intorno al rumore delle carte di credito che scorrono sia veramente “sociale“.
Capisco e tento di spiegare tutto. Ma non me ne frega nulla: io acquisto solo quello che mi serve, indipendentemente sia in saldo o meno. Ovvio ci sia solo una piccola eccezione per quanto attiene all’attrezzatura fotografica, ma non siamo qui a fare i pignoli, a pettinare le bambole, a tirar fuori il pelo nell’uovo o a contare gli schiaffoni a due a due finché non diventano dispari.
Il retail reclama le sue vittime, e tende trappole ovunque: qualsiasi percorso si voglia fare è impossibile non passare, incrociare o penetrare in un negozio. Per andare in metro passo dentro 2 shopping-mall e quando ne esco per salire in ufficio ne attraverso una terza. Andando a cena passo davanti a 82 diversi negozi. Va solo bene che il cesso ce l’ho in stanza e non mi costringono a fare lo slalom tra gli scaffali con le braghe in mano. Nauseante, credetemi: è una sovraesposizione per la quale anche una fashion victim andrebbe in overdose.
Foto? Final sale, ovvio. La prima che mi chiede i prezzi delle borse viene esclusa a vita oltre che dal blog anche dalla tavola dei 10 comandamenti e da quella periodica degli elementi ….
Un soggiorno a Singapore (o in altro paradiso degli acquisti) potrebbe essere una terapia per chi passa il suo tempo a comprare: arrivati al punto nausea, qualcosa si rompe e non si vuole più vedere un negozio in vita propria.
P.S. Queste borse non mi piacciono, potresti fotografarne altre? 😉
Poi passo da Hermes e scatto un’immagine: hanno delle borse in pelle di struzzo azzurre e gialle che i nuovi ricchi chinesi si contendono lanciando, dalla terza fila, rotoli di banconote grossi come carta igenica …
Sorry, qui niente rotoli di banconote, solo di carta igienica! Mi toccherà solo guardare! 😉