Altra mattina in cui ho cominciato a picconare nella mia miniera virtuale in un orario nel quale Beria mi guarda con due occhi veramente perplessi e batte la coda a terra un paio di volte, non in segno di saluto, ma per indicare la resa come nel judo o nella lotta, intendendo “ok, mi arrendo, rinuncio anche ai croccantini, ma tu ciccione pelato potresti dormire qualche ora in più, cazzo“.
Ho avuto un attimo di curiosità per cosa io stessi facendo, subito dopo aver pronunciato la frase “hey Beria, how’s life? had a good night pal?“. Chiamiamola “curiosità introspettiva”, o “riflessiva”, o meglio “ma che cazzo sto dicendo?”.
Non sto parlando di un dubbio ontologico assoluto stile “chi siamo, cosa facciamo, dove andiamo“, ma “che cazzo ci faccio in piedi alle 4 di mattina, a vagare per casa con un ipad in mano, e rispondo alle mail abbaiando mentre saluto il mio cane in un colloquiale business-english?“.
Mi son reso conto che avevo aperto gli occhi qualche minuto prima e afferrato lo schermo che giace a fianco del mio letto (si, lo so ci starebbe meglio Sharon Stone, ma non riesco a digitare la password su di lei), e, prima di aver anche espletato qualsiasi funzione motorio-fisiologica a partire dallo scrocchiare gli alluci in poi, ho letto la posta che mi è arrivata durante la notte dalla California, Australia a China. Ho poi scritto ad un tipo di Singapore con cui mi dovevo vedere in telepresence alle 10 (una sorta di roba dove fai finta che il tipo si sieda difronte a te, ma è tutta realtà virtuale).
Sono entrato sotto la doccia rischiando auricolare e telefono, continuando a sostenere la tesi che non dovremmo lavorare in Ethiopia con un collega a Shanghai che, mi son reso conto solo dopo, forse manco parlava in inglese ma il mio tono non ammetteva repliche. Ho bevuto un bicchiere di caffe-latte mentre mi vedevo con Carly a Sydney (sempre virtualmente) e ho smazzato una survey mentre pascolavo il quadrupede nei campi difronte a casa, prendendomela comoda visto che avrei bigiato la palestra stamani.
Poi, forse, ho preso autocoscienza di me. Forse, meglio, mi son chiesto se forse sono un filo troppo “connesso”. Devo vivere in modo più reale. Più cosciente.
Son tornato davanti al computer, aperto iTunes, selezionato “Sweet Jane” di Lou Reed nella versione live di Rock’n Roll Animal, messa a palla. Ha una intro che è la quintessenza del rock. Ho abbandonato tutti i miei vincoli elettronico-comunicativi e sono entrato nella camera di Camilla urlando “buooooooongiorno pescettaaaaaaaa!“.
Son riuscito a convincerla a chiudere la chiamata con il servizio sanitario di emergenza mentre stava per chiedere cosa fosse necessario per un mio trattamento sanitario obbligatorio, ma solo dopo una lunga negoziazione e avendole offerto un numero crescente di biscotti “Gocciole” di cui è ghiotta. Beria scuoteva la testa.
Foto? L’altra sera ero a London: atterrato ho preso l’Heatrow Express verso Paddington, ovvio fossimo tutti “connected” …
Tua figlia ha tutta la mia solidarietà e comprensione. Non ci conosciamo ma dille da parte mia che se necessita di asilo politico Cernusco è una cittadina silenziosissima. Per il TSO, mi sto adoperando… conosco un paio di bravissimi medici a Ville Turro ;o)
Fetente … Ah, domenica ho incrociato Al’Mahman all’esselunga e al solito mi ha investito col carrello 🙂
Sapessi quanto mi costa “ungere” mammetta per cercare di investirti!! Taccagna ebrea!! (sai… facendo lei Libermann da nubile posso permettermi questo commento! ;o)
Povera Cami 🙂 Mi fai sempre troppo ridere tu! Non è che con questa storia del troppo connesso mi vai a finire per meditare in qualche monastero sperduto in uno dei paesi che abitualmente frequenti?! Guarda che lì niente acciughe!
Nahhh, tranquilla, alle acciughe non rinuncio ….
Santa ragazza tua figlia, ha tutta la mia comprensione…ma, secondo me, sotto sotto si diverte un sacco anche lei.. 😉