“Sweets, chocolats and programs on sale here, ladies and gents“: la maschera del Her Majesty’s Theatre di London, continua la sua gentile cantilena in attesa che The Phantom of The Opera cominci, alle 19:30:00 spaccate, perchè siamo inglesi e precisi, cazzo.
Il teatro, costruito nel 1897 per ospitare la Royal Academy of Dramatic Art, dal 1986 vede ininterrottamente rappresentato lo stesso spettacolo, che sono appunto venuto a rivedere. Il musical è basato sullo scritto di Gaston Leroux, francese, che nei primi del 1900 pubblicò il racconto Le Fantôme de l’Opéra, parzialmente ispirato da fatti realmente accaduti a Parigi all’inizio del secolo.
Sarà stata la birra che mi son fatto a stomaco vuoto prima di entrare, sia per la stanchezza di una giornata comunque lunga (primo meeting alle 6:00 di mattina, se White Mam(b)a dice che sono in giro a divertirmi le disconosco la maternità), sia forse che i miei gusti si son fatti più scadenti e basati sulla presenza ontologica della chitarra elettrica (che qui, appunto, manca), ma lo spettacolo non mi è ri-piaciuto come la prima volta. Merita eccezione, con menzione d’onore, la scenografia: spettacolare, creativa ed impressionante.
Volendo atteggiarmi a critico, visto il costo non proletario (una poltrona nel primo emiciclo costa come 37 film all’oratorio, compreso ghiacciolo, gazzosa e rotelle di liquirizia a go-go), suggerisco di passare sul Fantasma, e di farsi invece una bella cantata con I Will Rock You, con le musiche dei Queen.
Uscito poco dopo le 22, ho camminato fino nel casino di Leicester Square, che il venerdì sera raccoglie un’umanità fermentata che merita qualche scatto fotografico: mi fanno sempre impazzire le ragazzotte, che hanno un modo di vestire talmente tipico che potrebbero essere riconosciute anche su altre galassie, con queste scarpe dall’altezza di piattaforme petrolifere (alcune difatti sono obbligate alle luci di segnalazione sui tacchi), e delle minigonne che hanno la stessa altezza della mia cintura texana, tagliata a metà.
Mi sono sacaposhato nella metro nella social-peak hour. “Sacaposhato” da sac-a-poche, l’imbuto flessibile usato in pasticceria: è l’unico verbo che ho trovato per descrivere l’inserimento di persone in treni, passaggi, scale mobili e cazzutissime curve ad angolo retto, ma siamo inglesi e molto sereni, educati, rispettosi e indeed. Ovvio che poi quando si crea un grumo, in circostanze date dalla presenza di un italiano, pelato, grosso e obeso, il flusso ne risente un filo.
Foto? beh, la mia serata, in senso quasi cronologico, e senza particolari aggiustamenti alle immagini, per farvene godere il realismo …
Buon wk nd a London Mau 🙂
Thanks, anche a te
AVVISO: ho cancellato un commento, prima volta in quattro anni che lo faccio, ma questa è casa mia, e ci sono regole da rispettare, quali l’attinenza al post o agli argomenti del blog, e di una lunghezza che renda facile e scorrevole la lettura.
Sorry, ma qui comando io ….
Bella serata! Quella birra…
Fa capire Catullo? 🙂
‘mbé… val più una foto di 1642 parole…
Non so perché ma l’immagine di te estruso da un enorme sac a poche mi ha fatto rabbrividire e ricordare il film the wall quando si gettavano nel trita carne e ne uscivano a “vermetti”.
Terribile!
Mi andrò a bere un goccio di calvados or d’age per riprendermi.. magari dagli eccessi della mia cena.
🙂 Sei sempre poetico, brother!