Il volo verso la Cina è passato con la lodevole indifferenza del posto “a loculo” che caratterizza la configurazione dell’autobus dell’aria a due piani che mi ha scarrozzato: mi son sentito un po’ il caro estinto in piccionaia ma ho fatto di necessità virtù picchiandoci una dormita di almeno 5 ore (lo so che questo blog sta diventando una sorta di resoconto letargico, ma va così in questi giorni).

Mi sono poi spostato in coda; chiesto un cappuccio con un paio di biscotti, ho conosciuto una fashion designer brasiliana che si stava facendo tutta la tirata Sao Paolo – Dubai – Shanghai ed era veramente perplessa su che body time fosse per lei. Indecisa tra un calice di frizzantino, un bicchiere di rosso, un caffè o un negroni, l’ho vista chiedere un espresso corretto Bailey, e mi sono augurato che il suo fegato non entrasse istantaneamente in sciopero per protesta.

L’efficienza dell’immigrazione in China è eccellente, non al livello di quella di Singapore ma quasi: in meno di 20 minuti ero fuori e sono stato arpionato dal driver che mi doveva recapitare nell’ostello dove dormo. Già il look doveva preoccuparmi: magro, pelato, completo nero con camicia bianca e cravatta nera. Poi quando ho visto l’auto la preoccupazione doveva diventare una sirena d’allarme: un proiettile nero della casa degli anelli con un’indistinta cilindrata, ma con dei pneumatici che sapevano da dragster.

Era chiaro il riferimento alla serie di film “Transporter”, ma quando mi sono seduto e in un inglese stentatissimo mi ha detto “regola numero 1: io sono il driver e rispetto la macchina“, “regola numero due: allacciati la cintura di sicurezza” ho capito di avere materiale per il blog di stasera. La regola tre non l’ho sentita perché stavo subendo un’accelerazione 0-240km/h al cui confronto gli astronauti vanno sugli autoscontri. “Gran pirla fetacchione e sconsiderato, togli quel cazzo di piede dall’acceleratore” gli ho detto, prima in Inglese e poi direttamente in Italiano, visto che la risposta è stata “sorry, traffic“.

Mentre zigzagava tra auto e corsie come se fosse stato Thoeni tra i paletti di un gigante (e qui si vede che son datato con i riferimenti sciistici), ho fatto una serie di tentativi di comunicazione. “Bella giornata oggi?”, “Sorry, traffic“. “Sai mica in che anno si sia combattuta la battaglia di Lepanto?”, “Sorry, traffic“. “Ma nei pinzocheri la percentuale delle due farine deve essere equivalente?” “Sorry, traffic“. “Ritieni che nell’Eneide il tema del viaggio sia introspettivo o ci troviamo davanti a TripAdvisor ante litteram?” “Sorry, traffic“. Un piacere non parlare chinese per poterlo maledire.

Il percorso tra aeroporto e albergo, che il Malev (il treno a lievitazione magnetica) copre in 32 minuti, è durato 27. Ho rischiato la vita in ogni singolo secondo di quei minuti, cioè 1,620 volte.

Shanghai è la capitale gastronomica del mondo: in nessun altro posti si possono gustare così tante cucine differenti e di qualità così eccelsa. Stasera mi son fatto del male in un teatro riadattato a ristorante, dove giustamente hanno lasciato la cucina sul palco.

Cena da estasi con una tartare di tonno e avocado con una punta di miso, delle granseole al blue-cheese, un sashimi che nuotava ancora e infine una boiling pot di funghi dove ho passato delle fette a velina di marmo marmorizzato. Chiuso con una cheesecake di tofu che merita Master Chef Mau: foto? ovvio, gli artisti ….

janny shanghai 5

It's been almost 50 years that I travel across the word (and the 7 seas), on business or vacation, but always carrying with me a Leica camera. I started keeping this kind of journal a while ago. Even if sometime I disappear for ages, I'm then coming back with semi-regular updates: publishing is a kind of mirroring of my state and emotions, and you need to take it as it is. All published photos are mine.

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