Si bestemmia al cielo, questa è la vera tradizione letteraria“.

Si, così ho risposto a chi mi chiedeva perché avessi aperto il tettuccio del trabiccolo che uso per spostarmi nel Paese dei Castelli di Sabbia, e con un canto tracheale ho commentato in modo estremamente articolato cosa pensassi della giornata (appena finita, di merda), della settimana (appena iniziata, male), del mese (appena iniziato, malissimo), del quarter (appena iniziato, malerrimo), e dell’anno fiscale (a metà, una vera chiavica).

Parevo Batzorig Vaanchig, il cantante Mongolo che descrive le passioni, le tradizioni e i momenti di intimità nella Yurt, la classica tenda in pelle delle popolazioni nomadi col dna del Kahn nell’Asia Centrale.

Mongolia: ci sono stato un po’ di anni fa. Mi ricordo quando – sbagliando strada nel percorso a piedi dalla mensa al mio alloggio nel sito minerario (stavolta sul serio una miniera), e a 47°c sotto zero nel Deserto dei Gobi – mi son travato invece che tra i container prefabbricati dove dovevo dormire (vestito, visto il freddo troio), nel campo riservato alle popolazioni locali.

Il mio mantra a labbra chiuse, e protette da una sciarpa rossa (che tengo ancora come reliquia a ricordo del Partito Comunista), ha attirato l’attenzione di alcuni minatori, che mi hanno invitato a sentire l’originale (che trovate nei commenti).

Solo dopo che ho rifiutato nell’ordine (1) una ciotola di araig, la bevanda a base di latte fermentato per oltre un anno nello stomaco di una mucca: una cosa per la quale si diventa non intolleranti al lattosio, ma alla vita in sé, (2) una sigaretta chinese, (tabacco e uranio), (3) il sedere vicino a una tipa in cerca di marito, ma anche chiaramente temporaneo, (4) scambiare la mia sciarpa con una in tessuto sintetico azzurro, a celebrazione di una buddistica amicizia, mi hanno fatto sedere e ascoltare con passione il canto di Batzorig.

Che ho fatto? 3 minuti dopo mi è sembrato che tornare a 47°c sotto zero fosse la migliore soluzione.

Foto? Era il Gennaio 2012 mi pare. La settimana successiva sono tornato nella capitale, Ulaanbator, che viene definito il posto più inquinato al mondo: alle 5 di mattina ero al telefono e ho guardato fuori dalla finestra della mia camera, nell’albergo che è stato ristrutturato per l’ultima visita di Breznev …

 

 

It's been almost 50 years that I travel across the word (and the 7 seas), on business or vacation, but always carrying with me a Leica camera. I started keeping this kind of journal a while ago. Even if sometime I disappear for ages, I'm then coming back with semi-regular updates: publishing is a kind of mirroring of my state and emotions, and you need to take it as it is. All published photos are mine.

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