Sapevo sarebbe stato un “crash” il rientro, ma forse ero stato troppo ottimista.

Atterrato da Singapore a Dubai alle 1:40am, con un ritardo di tre quarti d’ora: piccola sfiga, potenzialmente prevedibile, considerando il denso manipolo di double-deck e fat-body aircrafts che arrivano intorno a quell’ora creando più densità di aerei in aria che una nuvola di mosconi sopra una defecazione vaccina.

Massacro all’immigration perché avevano designato anche le e-gates al controllo manuale e ho dovuto spiegare in 8 lingue differenti che non saltavo la fila ma appartengo a quella schiera di persone che entra con lo scan dell’iride in questo paese: media sfiga, che la gente tende a imbizzarrirsi se gli freghi anche solo per un secondo il loro diritto costituzionale ad appiccicarsi alla schiena di chi li precede e sentirsi addosso una sensazione club-sandwich con quello successivo.

Coda epocale ai taxi e passeggeri in arrivo portandosi dietro il condominio, non delle valigie e con un’abilità di manovra dei carrelli peggiore di quelle di un camionista turco ubriaco che guida mentre chatta su due telefoni nello stesso momento e si arruffa i peli sotto le ascelle: piccola sfiga, ma data la combinazione con un certo livello di stress e di stanchezza dopo 35′ di bestemmie, facciamo un upgrade a piccola sfiga plus.

Son quasi le tre quando prendo il Al Garhoud Bridge e una serie di lampeggianti mi indicano chiaramente che la Sheik Zaied Rd sia chiusa all’altezza del Trade Center Underpass: tutti fuori sul Roundabout superiore con una visione paragonabile all’esodo dall’Egitto. 45 minuti per poter superare l’ingorgo: le bestemmie fioccano peggio che ci fosse in sottofondo la canzone “Bianco Natal” e fossimo in Lapponia. Grande sfiga direi.

Passo finalmente i lavoro di Al Safa Park, supero Dubai Marina e vedo in lontananza Jebel Ali. L’entusiasmo per avere a quel punto solo 120 chilometri di asfalto prima di una doccia e del mio letto mi gioca un brutto scherzo: pigio sull’acceleratore senza accorgermene nell’autostrada illuminata, con le sue 12 corsie finalmente vuote. Il 6 cilindri fa il suo sporco lavoro e l’inclinazione sportiva della casa di Stuttgart non tradisce, rispondendo con un sommesso brontolio. Lo splendido flash della speed-cam (autovelox) mi deve aver ancora colto con un pacifico sorriso sulle labbra, trasformato poi in smorfia di dolore per il portafoglio. Grandissima sfiga e Cascate Victoria di bestemmie in due lingue per assicurarmi un’audience più vasta.

Sto ancora articolando le ultime saracche che un muro di nebbia mi saluta: la devono aver importata dalla Bassa Padana, dove si taglia con la Berkel che il coltello non basta. Mi pareva di intravedere anche Peppone e Don Camillo affiancarmi in bicicletta mentre le rade automobili si muovevano in modo inconsulto e, con i 4 lampeggianti accesi picchiavano delle inchiodate criminali per poi accodarsi a me con la sensazione di aver trovato il Messia Delle Nebbie: certo che anni di guida in Lombardia aiutano. Medio Grande Sfiga: all’altezza della deviazione per il Khalifa Port c’è un velo di nebbia a 5 metri d’altezza, illuminato dalle celle fotovoltaiche crea un effetto surreale spettacolare. Vorrei fermarmi per fotografarlo ma son talmente stanco che temo mi addormenterei sull’otturatore: grandissima sfiga fotografica, chissà mai quando ritrovo uno scenario così spettacolare.

Sono le 4 passate, comincio a parlare da solo, “Adesso manca solo l’invasione delle cavallette, cazzo, per le Sette Piaghe di Mau“: mi si spiaccica sul parabrezza un insetto grosso come un pollo. Sfiga Epocale. Mi viene una risata isterica pensando a chi domani mi dovrà lavare la macchina: sarà come chiedere a Sigourney Weaver di raspare via i resti di Alien dal vetro dell’astronave.

Son quasi le 5 quando entro in casa, mi faccio una doccia senza curarmi di spogliarmi completamente e collasso a letto, dimenticando di staccare la sveglia fissata per le 5:30, cazzo.

Foto? Un tempio-bancarella a Bugis, per un po’ di fede a buon prezzo: forse avrei dovuto raccattare un paio di bastoncini di incenso e accenderli prima della partenza …

temple

It's been almost 50 years that I travel across the word (and the 7 seas), on business or vacation, but always carrying with me a Leica camera. I started keeping this kind of journal a while ago. Even if sometime I disappear for ages, I'm then coming back with semi-regular updates: publishing is a kind of mirroring of my state and emotions, and you need to take it as it is. All published photos are mine.

11 Comment on “Talvolta ….

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